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   Il vibrafono elettrico Riduci
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Bobby Hutcherson, Milt Jackson, Gary Burton, Lionel Hampton, Charlie Shoemake

Se parlo di vibrafono elettrico al mio amico Puccio Sboto, rischio di giocarmi almeno parte della stima che ho guadagnato duramente ai suoi occhi, anzi, alle sue orecchie…

Di fatto, anch’io penso che nulla sia paragonabile al suono acustico, ma questi strumenti esistono e vale la pena parlarne.
C’è chi si limita ad amplificare lo strumento attaccando sensori sotto le piastre o inserendo su i longheroni, delle sbarre che hanno all’interno dei sensori che amplificano il suono… In questo caso lo strumento subisce una alterazione paragonabile a quello di una chitarra amplificata: non è più una chitarra classica, ma si ottiene soprattutto un maggior volume… è evidente che la cosa cambia se si approfitta della elettrificazione per entrare nelle possibilità del Midi…
La mia mancanza di pregiudizio nei confronti del vibrafono elettrico è anche dovuta al fatto che il mio primo vibrafono è stato un Galanti. Cioè un vibrafono elettrico economico fatto apposta per uno studente di provincia senza molti mezzi come il sottoscritto, con una evidente facilità di trasporto.
L’ElectraVibe della Deagan ripeteva l’idea della Galanti:sostituire le canne di risonanza con un sistema audio ed il tutto diventava una valigia pesante la metà di un vibrafono da concerto.
La Musser fece per Gary Burton un vibrafono senza canne, con a lato una scatola dove si raccoglievano i suoni delle piastre, mentre il resto della struttura era quella solita del musser 55. Un sistema equivalente realizzò la Deagan per Red Norvo che volle mantenere le canne. Quest’ultimo strumento (il Commander) è facilmente vedibile nelle mani di Mike Mainieri con i suoi Steps Ahead.
Adesso Mainieri usa il K&K, che un sistema a sé stante che puoi inserire su qualsiasi vibrafono: basta incollare i sensori sotto le piastre e poggiare la scatola che li raccoglie sul fianco del vibrafono.

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Roy Ayers

Gli strumenti elettrici nati con l’idea di fornire ai vibrafonisti uno strumento facilmente trasportabile sono quattro:
Il MalletKat, il Wernick, il VanderPlas e la Marimba Lumina, la quale ultima, costruita in California, annulla eccessivamente il senso della percussione.
Il MalletKat usa materiale sintetico (come aveva provato a fare l’inglese Simmons con il silicone), il VanderPlas invece adotta lo stesso stilema che fu della Musser e fa due tipi: quello midi e quello che si limita a sostituire le canne con un sistema audio.
Le piastre sono blu, suppongo che ciò allude al “blu elettrico”…
Lo Xilosynth della Wernick sembra una via di mezzo fra il MalletKat e l’ElectraVibe. La struttura è accattivante, ma ha bisogno di una “banca “ di suoni.
Ma esaminiamo i lavori dei musicisti con questi strumenti: Mainieri è uno di quelli che lo usa più estesamente e con un gusto quasi infallibile… una incisione divertente è quella dove canta ed usa un modello sintetizzato di sua costruzione, che, in seguito, gli fu rubato e che fa venire in mente visivamente il Wernick.
Mainieri non canta abitualmente, mentre Roy Ayers lo fa sempre ed ha adottato il MalletKat con il quale fa anche una imitazione della tromba di Miles Davis… si tratta di Frankestein/Jazz che adesso sembra di moda… va notato che dovendo cantare, il MalletKat con le sue dimensioni ridotte risulta molto comodo…
Gary Burton ha inciso “Good Vibes” al vibrafono elettrico probabilmente pressato dall’Atlantic.
Burton è un musicista di tale statura che può venire a capo di qualsiasi situazione, ma, di fatto, un qualsiasi sintetizzatore avrebbe ottenuto gli stessi risultati. E credo che sia stata questa considerazione che l’abbia fatto ritornare al puro suono dell’acustico.
Herbie Hancock sosteneva che non bisogna esagerare: non è vero che l’elettricità spersonalizza. Resta sempre al musicista una vasta possibilità di scelta, senza dimenticare il disegno del suo fraseggio e la concezione musicale generale.
Probabilmente è vero, ma non è raro che qualche musicista si sente derubato di tutto il suo lavoro dalla tecnologia.
Bobby Hutcherson ritornò sui suoi passi quando, a Genova, il suo ElectraVibe sparì per un vuoto di corrente. In seguito, Hutcherson commentò che gli parve chiaro che stava rinunciando a tutti gli anni passati ad inseguire e raggiungere un proprio suono fatto naturalmente e riprese a suonare solo con lo strumento acustico.
Probabilmente l’elettrificazione del vibrafono aveva come scopo l’inserimento nel filone “fusion”,( genere che lo scrivente digerisce con qualche difficoltà…) ma qualsiasi sia la motivazione di fondo è importante lasciare al vibrafonista la fisicità del suo suonare e di fargli ottenere una maggiore facilità di trasporto e l’inserimento in contesti sonori diversi.
Probabilmente se fosse uno strumento più popolare, si sarebbe già arrivati a centrare questi obiettivi.
Ecco un elenco di incisioni fatte con lo strumento elettrico, con altri vibrafonisti oltre quelli già citati:
Il Modern Jazz Quartet con Milton Jackson usò l’ElectraVibe quando incise per la casa dei Beatles, cioè la Apple. Negli stessi anni mostrarono detto strumento in giro per il mondo.
Jackson usa l’elettricità con molta parsimonia, a parte l’allusione a mondi lontani, Marte, Venere e così via…
Harry Sheppard usa un ElectraVibe modificato per fare un po’ di “fusion”, ma quando ci fa sentire lo strumento senza effetti e “trapianti” di vario genere, ha un suono bellissimo. Forse Sheppard ha trovato i battenti giusti per lo strumento elettrico.
Altri nomi:  Craig Peyton (forse il più convinto di tutti…), Khan Jamal,  Jay Hoggard,  Sun Ra (avete letto bene…),  Bill Ware, Don Moors ed altri meno conosciuti.
Forse è solo l’alba dello strumento elettrico o forse l’adozione del jazz da parte del mondo accademico, lo emarginerà in una terra di nessuno chiamata ‘toy’… il tempo ce lo dirà…