Senza minimamente discutere che Gary Burton sia una delle più grandi figure del Jazz, resta il fatto che i ‘burtoniani’ hanno qualche colpa, all’orecchio dello scrivente…
Primo: eliminando il motore e, di fatto, suonando un metallofono, hanno annullato l’invenzione del vibrafono che consiste proprio nelle alette che ruotano sotto le piastre.
Secondo:tutti vogliono suonare con i battenti che usa Gary Burton o simili.
A parte il fatto che quel battente l’ha voluto Terry Gibbs per la Deagan – il medium azzurro -, ciò significa l’eliminazione di una possibilità di differenziarsi.
Tutti i grandi vibrafonisti del passato hanno usato battenti diversi perché il timbro scelto era la loro firma, la loro personalità.
Una delle prerogative del jazz autentico.
Infine lo strumento: ovviamente deve essere un Musser, magari quello firmato da Burton…
Immagino che un ‘burtoniano’ non capisca perchè l’ultra ottantenne Teddy Charles si tenga stretto il suo Jenco, un vibrafono fuori produzione che ha nel suo timbro il bebop di Charlie Mingus e dei suoi contemporanei.
Insomma, i ‘burtoniani’ non si rendono conto che sono spinti ad assomigliarsi fra di loro.
E ciò è la negazione del jazz.
Detto questo, va detto che Ed Saindon non è il tipico ‘burtoniano’ perché, ad esempio, cambia la presa dei battenti anche nella stessa esecuzione, slittando dalla presa alla Burton alla Stevens. Ancora, Saindon fa una imitazione dei pianisti degli anni trenta e quaranta che è irresistibile.
Però Saindon va preso come prototipo dei ‘burtoniani’ per la sua storia.
Si iscrisse alla Berklee come batterista e restò fulminato nel vedere suonare Burton. Dopo solo quattro anni fu assunto come insegnante nella stessa scuola per insegnare la tecnica del maestro.
Saindon è un eccellente musicista e vibrafonista, ma difficilmente diventerà un ‘eroe cantato’.
Questa divertente espressione sembra volere dire che dietro a qualche fortunato musicista jazz, ci sia un Omero pronto a cantarne le gesta.
Credo non sia vero nemmeno per i grandissimi.
‘Burtoniani’ convinti sono i giapponesi, ma hanno una grossa attenuante: Burton visse due anni in Giappone, assunto proprio per diffondere la sua tecnica che, derivando da quella della marimba, trovava in quella nazione terreno fertile.