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   Il vibrafono jazz in Italia Riduci


Antonello Vannucchi

La prima volta che fu inciso il vibrafono in Italia, è stato nel 1936.
Il suonatore in questione fu Ezio Levi, pianista e personalità culturale determinante per le sorti del Jazz in Italia.
Fino a tutti gli anni sessanta, il vibrafono è stato suonato dai tastieristi, ovvero dai pianisti e fisarmonicisti, con qualche rara eccezione. Manca, in questa prima parte della storia, l’apporto dei percussionisti classici, come Red Norvo, o dei batteristi come Lionel Hampton.
I nomi sono tanti, tra parentesi la loro prima incisione: Pompeo Tiani (1939), Walter Ferranti (1945), Sandro Comensoli (1954), Elvio Favilla (1953), Franco Caldiroli, contrabbassista e poi produttore di batterie (1955), Aldo Pagani (1957), Peter Petra, Mario Bosi, Alberto Baldan Bembo, Franco Goldani, forse il primo ad usare il vibrafono italiano Layolo (1955), Raoul Ceroni, Giovanni Spalletti, a cui è stato intestato il festival jazz di Macerata. Annibale Modoni. Vanno inoltre menzionati musicisti di successo come il trombettista e direttore d’orchestra Giulio Libano, il compositore Piero Umiliani, il trombonista Luciano Fineschi, che ‘prestò’ il suo Premier a Lionel Hampton, e Roberto Nicolosi, contrabbassista ed arrangiatore, che pare sia stato il primo ad avere un vibrafono americano.
I vibrafoni correnti erano il Premier inglese ed il Trixon tedesco, a cui si aggiunse l’italiano Layolo nel 1955. Nello stesso periodo,
i sette vibrafonisti più costantemente  presenti nelle incisioni discografiche sono stati, in ordine di apparizione sulla scena, : Quirino Spinetti, Sergio Battistelli, Franco Chiari, Antonello Vannucchi, Puccio Sboto, Carlo Zoffoli ed Enzo Randisi.
Quasi tutti pianisti e/o fisarmonicisti.
Tutti i nomi elencati hanno cercato di diffondere l’amore per questo strumento, ma la situazione era dura perché in Italia, tuttora, si prediligono gli strumenti usati dalla musica commerciale.
Il vibrafono italiano ha avuto un minimo di esposizione, quando si è cercato di imitare il gruppo di Benny Goodman con Lionel Hampton, con un concorso per eleggere il Benny Goodman italiano. E, più tardi, quando ha avuto successo il Modern Jazz Quartet.
Oggi il vibrafono jazz italiano è nelle mani dei percussionisti classici che, ovviamente, pendono dalle labbra, ovvero dai battenti, di Gary Burton, Dave Friedman e simili.
Resta il fatto che è uno strumento amato dai musicisti, ma non dal pubblico. Nel migliore dei casi, spiegando cos’è un vibrafono, l’interlocutore risponde: ”Ah, lo xilofono!” e si è chiamati a spiegare la differenza fra il legno ed il metallo.
Viene da chiedersi, se una maggiore esposizione cambierebbe le cose, ma Gary Burton avverte che è difficile in qualsiasi parte del mondo condurre una carriera suonando il vibrafono.
Proviamo a credere che sia perché è uno strumento troppo nuovo, anche se le sue radici sono antichissime.

  
Franco Chiari e Sergio Battistelli