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Mainieri e gli italo-americani
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Negli Stati Uniti, gli italo-americani sono di poco più numerosi dei neri-americani.
Si esprimono soprattutto con la voce e gli strumenti a corda, basta pensare a Frank Sinatra, Joe Venuti, Scott LaFaro e Joe Pass (Passalacqua) ed Eddie Lang (Salvatore Massaro). Ed ovviamente, una infinità di pianisti la cui anglicizzazione del nome a volte è paradossale: George Wallington per Giacinto Figlia; o divertente: Peter Jolly per Piero Ceragioli, Rachel Z. per Rachele Nicolazzo.
L’italo-americano anglicizzava il nome spesso per evitare allusioni alla mafia, come ci ha spiegato un delizioso film di Alan Alda, troppo poco conosciuto, ma anche per praticità, così Giuditta Colantuono diventava Jay Clayton…
Il primo solista di vibrafono jazz è stato l’italiano Adriano Rollini, schiacciato dal grande talento dei suoi immediati successori: Lionel Hampton e Red Norvo.
Rollini ha sofferto del mancato riconoscimento di essere stato il primo ad usare il vibrafono in un contesto jazz.
Poi ci furono:
Emil Richards (ovvero Emilio Radocchia) che è stato per anni il vibrafonista chiamato per primo negli studi d’incisione di Hollywood. Questo dopo aver militato nel quintetto di George Shearing ed in quello di Paul Horn.
Richards ha realizzato un ottimo video didattico “Playing with Mallets”, ed ha realizzato una incisione con brani popolari dell’angolo di Sicilia, dove la sua tribù di ebrei viveva prima di emigrare negli Usa.
Carl Rigoli nel suo sito si definisce uno dei cinque più grandi vibrafonisti di tutti i tempi… per scrivere qualcosa in proposito, dovrei prima ascoltarlo… mi ripropongo di farlo e riferire… comunque ha dietro le spalle una lunga carriera.
Eddie Costa è stato un sicuro fuoriclasse nella sua brevissima vita. Vasto il suo lavoro come pianista,… pare avesse una lettura a vista formidabile… è facile trovare la sua incisione al vibrafono con Bill Evans al pianoforte, ‘Guys and Dolls’.
Vince Montana è un buon intrattenitore.
John Rae (vero cognome Pompeo) ebbe un padre docente a Napoli e Milano che poi emigrò a Los Angeles.
Rae ha lavorato con i più grandi sia come batterista che come vibrafonista. Va detto che, oltre il grande lavoro che fatto con Cal Tjader come batterista, Rae con il chitarrista John Smith ha dato vita al primo quartetto chitarra/ vibrafono/contrabbasso/batteria (1956). Ottimo anche il suo omaggio a Milton Jackson, “Opus de Jazz vol.2”, insieme a Bobby Jaspar al flauto, Steve Kuhn al pianoforte, John Neves al contrabbasso e Jake Hanna alla batteria.
Joe Venuto è stato uno dei più impegnati musicisti di studio d’incisione di New York. Incuriosiscono i dischi sotto il suo nome, ma sono introvabili. Uno di essi s’intitola “Dedicated to Eric Dolphy”.
George Devens (vero cognome Di Bella) sembra che sia stato il percussionista più inciso negli ultimi quaranta anni. Non risulta alcuna incisione da leader ed è un peccato perché sembra un top player al vibrafono. Da segnalare il suo lavoro con la cantatnte Etta Jones nelle incisioni per la Muse.
Dick Sisto è un buon vibrafonista odierno, ha pubblicato un libro con cd, dove illustra gli stili di Jackson, Burton e cosi via.
Altri nomi: Nick Mancini, John Cocuzzi, Joe Barone (parente del trombonista Mike?…), Bobby Paunetto, Alex Grillo, Frank Picarazzi e, ovviamente, il più famoso Michele Mainieri.
Quest’ultimo fu buttato sulla scena a soli 17 anni da Buddy Rich. Il grande batterista aveva costituito un sestetto che portò in giro per anni, prima di formare una big band come fece fino alla fine, ingaggiando giovani talenti.
Ci sono registrazioni del gruppo di Rich con Mainieri, ma il livello di registrazione è quasi sempre mediocre. Comunque Mainieri si presenta come un moderno Red Norvo, alternando l’uso di due e quattro battenti con magistrale perizia e con evidente personalità.
Da notare, che Mainieri prende il secondo battente fra l’anulare ed il mignolo… una presa che Manieri attribuisce al marimbista C. Omar Musser, ma ciò non sembra esatto.
Mainieri è il classico musicista di New York che lavora in qualsiasi contesto e, se si è appassionati di musica pop, lo si può trovare in decine di lavori commerciali.
Il suo primo disco da leader s’intitola ‘Blues In The Closet’ che è anche un famoso blues di Oscar Pettiford. Alla batteria c’è il padre del povero Jeff: Joe Porcaro.
Sistemata la sua eredità swing and bop, Mainieri si tuffa nella ‘fusion’ provando varie strade, tutte interessanti, tutte ad un livello professionale molto alto.
In questo l’aiuta la Deagan che che proprio nella sua produzione finale realizza una serie di strumenti amplificati.
“In A Electric Tube”, Mainieri ripete l’organico del più noto Gary Burton (vibrafono, chitarra, basso e batteria), ma lui ed il chitarrista Joe Beck hanno una visione armonica e solistica diversa, avvicinabile al “funk” dei fratelli Brecker con i quali collaborano spesso…
Ancora Mainieri lavora spesso con il flautista Jeremy Steig, Ben Sidran, Gil Evans… insomma, un giro diverso del più giovane Burton.
Il confronto fra i due è frequente ma, come al solito, improprio:
Burton è un virtuoso inarrivabile che preferisce aderire a progetti altrui, mentre Mainieri predilige lavorare in proprio e con una ristretta cerchia di collaboratori.
Burton sta sul tempo in maniera leggera alla Bill Evans, mentre Mainieri suona in maniera “funky” come tutti suoi collaboratori.
Il bassista preferito da Burton è Steve Swallow, quello preferito da Mainieri è Eddie Gomez.
Va notato che Swallow è un ‘progettista’ cioè porta un gran numero di temi ed idee musicali, mentre Gomez è un magistrale interprete di temi altrui.
Mainieri sfonda all’ennesimo tentativo con gli Steps Ahead.
Si tratta di una ‘fusion’ di estrema cantabilità elaborata da virtuosi eccellenti: Michael Brecker, Don Grolnick, Eddie Gomez e Steve Gadd. Ed i sostituti non sono da meno: Bob Mitzer, Bob Berg, Warren Bernhardt, Eliane Elias, Omar Hakim, Steve Smith, Peter Erskine e così via.
Nel frattempo Mainieri non dimentica di realizzare qualche progetto solistico come ‘Man Behind the Bars’, in perfetta solitudine, dove suona vibrafono, pianoforte, batteria ed il basso con una tastiera. Un lavoro del genere lo aveva registrato anche Victor Feldman, ma va detto che Don Thompson potrebbe realizzarlo con soli strumenti acustici…
L’ultima scoperta di Mainieri è la pianista Rachel Z. (cioè Rachele Nicolazzo, genitori di Cosenza…), ma va notato il duo con il sax tenore George Garzone ed il quartetto sempre con Garzone, Michael Formaneck e Peter Erskine. Quest’ultimo viene presentato da Mainieri come un “paisano”… che sia anche lui un italo-americano?
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